Ergonomia: benessere e produttività
di Francesco Mana
Ho trent’anni. O meglio, ne ho trentuno: la precisione è importante. Di mestiere scrivo. O meglio, riscrivo parole scritte da altri (la precisione…). Questo per otto ore al giorno, cinque giorni a settimana, da ormai cinque anni.
Quando ho iniziato a lavorare, la mia postazione ideale rispecchiava fedelmente l’immagine comune che si ha del traduttore: seduto sul divano in pigiama con il portatile appoggiato sulle ginocchia, poi sul tavolino, poi di nuovo sulle ginocchia, poi sul divano, e via così fino a fine giornata. Unico assente dello stereotipo, l’immancabile gatto. Nel peggiore dei casi, incurante di qualsiasi buona prassi dell’ergonomia, mi stravaccavo su un enorme cuscino buttato sul pavimento del salotto con il portatile appoggiato sulla pancia e le gambe distese sul divano. Durante la giornata, mi trovavo (troppo) spesso in piedi a bere un caffè, un bicchiere d’acqua, a mangiare qualcosa, a controllare se avessi chiuso la finestra del bagno… Ogni scusa era buona per fare una pausa, ma non dal lavoro (quelle sono sacrosante e necessarie): avevo bisogno di dare tregua alla schiena, alle spalle, al collo! Insomma, il classico “vado a sgranchirmi un po’”.
Con l’aumento dei volumi (per fortuna!) e volendo darmi un tono più professionale, dopo un anno di attività mi sono dotato di una vera scrivania, di un PC fisso e di una buona sedia con supporto lombare. Ho anche smesso di lavorare in pigiama. Un bel salto di qualità, direte; tuttavia, temo di aver abusato un po’ troppo dello schienale reclinabile, adottando una posizione sostanzialmente sdraiata sotto la scrivania, le braccia tese per raggiungere la tastiera e lo sguardo rivolto verso l’altissimo monitor.
Inutile dire che ben presto mi è stato presentato il conto: mal di schiena, collo indolenzito, mal di testa e braccia stanche erano la prassi. Non che vivessi una condizione tragica, sia chiaro, si trattava più che altro di fastidi; avessi fatto il camallo, oggi avrei lamentato ben altri dolori…
Nonostante le premesse, non sono stati questi i motivi che mi hanno spinto a cercare una postura corretta. In realtà, sono un inguaribile nerd attratto da qualsiasi tipo di oggetto, purché abbia a che fare con la tecnologia e sia bello. Lo sono talmente tanto che spesso vedo qualcosa che mi piace e mi convinco di averne bisogno, e provo a convincere chiunque mi stia intorno che l’intera mia esistenza sarebbe di gran lunga migliore se acquistassi quell’oggetto, questo finché non ricevo la rassegnata approvazione di qualcuno. Di solito, il tutto si risolve con me che compro un oggetto inutile e mia moglie che, giustamente, mi dà del cretino. Le eccezioni a questa norma sono davvero rare, e una di queste riguarda l’acquisto di un mouse verticale che ha coinciso con il mio approccio all’ergonomia. In realtà avevo già sperimentato la trackball,ma il suo acquisto era stato dettato dalla “necessità” di poter usare il mouse anche in assenza di una superficie piana e non dalle sue ottime qualità ergonomiche: ero ancora in quella fase in cui sposavo l’idea del traduttore che lavora ovunque, come in treno, al parco, o dal letto di un ospedale al risveglio da un intervento al ginocchio (l’ho fatto davvero)! Considerandola però sul piano ergonomico, la trackball è davvero un ottimo oggetto: il fatto di poter spostare il cursore con semplici movimenti del pollice consente di esercitare una minima tensione sui muscoli dell’avambraccio, che rimane a riposo.
Ma torniamo al mouse verticale, nella fattispecie questo: potevo non farmi ammaliare da un design simile? Ovviamente no. Ma soprattutto: “In effetti alla sera mi fanno un po’ male il braccio e il polso. Ne ho bisogno!”. Due giorni dopo, eccolo lì che svettava bello tronfio sulla mia scrivania. Ma per una volta, uno dei miei capricci ha coinciso con un reale beneficio: tutte quelle cose che mi raccontavo sul fatto di avere il braccio stanco erano vere! E il mouse, che grazie al suo design consente un’impugnatura naturale del dispositivo senza richiedere una torsione del polso e dell’avambraccio, le aveva parzialmente risolte. Da quel momento in avanti, ho iniziato a modificare la mia postazione di lavoro in favore di una postura più corretta. Ecco come:
Con la stessa onestà con cui ammetto di essere un nerd capriccioso, posso affermare che tutti questi piccoli accorgimenti mi consentono di arrivare a fine giornata molto più rilassato.
E i benefici non si traducono solo in termini di benessere, infatti ho notato un netto miglioramento della produttività. Con una migliore condizione ergonomica, la necessità di pause per sgranchirsi è diminuita sensibilmente: dalle quattro o cinque pause (anche brevi) prima di pranzo e altrettante dopo pranzo, oggi ne faccio solo un paio. A spanne, direi che ci ho guadagnato una mezz’ora al giorno, a fine mese siamo su una decina di ore o poco meno… Insomma, una giornata di lavoro in più. Niente male! Per non parlare del tempo, che non sono in grado di quantificare, risparmiato grazie al secondo schermo (quasi quasi, aggiungo il terzo) e dell’aumento della velocità in digitazione avendo necessariamente imparato a digitare usando le dieci dita (qui un ottimo strumento per imparare e allenarsi a digitare nel modo corretto).
Ovviamente questi sono solo alcuni consigli per migliorare la postura, ad esempio non ho mai approfondito la possibilità di migliorare la seduta con supporti diversi dalla classica sedia da ufficio, e mi riferisco alle “sedie svedesi” o alle palle da ginnastica
(per i più curiosi, un divertente approfondimento è disponibile qui). Ma non andrò oltre, per il semplice motivo che l’intento del post era quello di offrire una panoramica dell’argomento in base alla mia esperienza che, per il momento, si esaurisce con la tastiera ergonomica.
DISCLAIMER: l’intero post si basa esclusivamente sull’esperienza di chi scrive e non ha la presunzione di dare un giudizio assoluto su nessuno degli articoli trattati.
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Francesco Mana - classe 1986, alassino di nascita e genovese di adozione. Traduce per vivere ed è un inguaribile malato di pallacanestro in ogni sua espressione.
"Una lingua diversa è una diversa visione della vita." Federico Fellini
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